Toscana, Chincarini: Pianosa, paradiso abbandonato
Appello di Maria Luisa Chincarini, capogruppo di Centro Democratico al Consiglio regionale della Toscana, per una maggior tutela e valorizzazione dell’isola di Pianosa nell’arcipelago toscano. Una lunga lettera dell’esponente del partito di Bruno Tabacci che riportiamo integralmente, in cui Chincarini mette l’accento sulle contraddizioni tra patrimonio paesaggistico e scarsa capacità di programmazione.
Mare incontaminato, magiche calette, una natura mediterranea e selvaggia, la rocca napoleonica che domina sulla costa. L’isola di Pianosa si presenta come un minuscolo diamante incastonato nel Mar Tirreno, che purtroppo è tenuto a prendere polvere in un cassetto, avvilito e quasi abbandonato anziché valorizzato per le sue peculiarità naturali, architettoniche, faunistiche e umane.
Pianosa è un’isola meravigliosa dove ogni turista e visitatore paga una giusta tassa d’accesso di 8 euro al Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano. Sull’isola è anche possibile pernottare presso un albergo. La balneazione è consentita soltanto sulla spiaggia di Santa Giovanna, mentre le numerose e meravigliose calette sono totalmente inutilizzabili per i turisti, che hanno invece la possibilità di effettuare un tour dell’isola in pullman, in bici o a cavallo. L’entroterra è caratterizzato da un sottobosco mediterraneo molto ricco dove scorrazzano liberamente fagiani, pernici e lepri in grande quantità. E’ possibile fare il bagno tra i barracuda e io stessa ho avuto la fortuna di vedere in una notte di luna piena la danza dei barracuda nel porticciolo napoleonico. Purtroppo, però, sono zecche e ratti neri gli abitanti di gran lunga più presenti sull’isola. Nessuno si attiva per la disinfestazione che appare quanto mai opportuna e che potrebbe essere effettuato con tecniche che non vadano a impattare sull’ecosistema dell’isola. Invece, i soldi che il Parco ricava dai turisti non sembrano affatto ritornare in nessun modo su Pianosa.
Guardare ma non toccare, insomma, sembra essere il mantra che ispira la gestione del Parco. Negli anni ho avuto l’occasione di visitare numerosi parchi di altre nazioni europee, che hanno un cuore anche più verde del nostro, e non li ho mai trovati ispirati a questa impostazione iperconservativa. Certo, tutelare un luogo incontaminato come Pianosa è un dovere, ma provvedere alla sua cura e offrire un seppur limitata e controllata possibilità di viverla a pieno è un diritto che non può essere sottratto ai cittadini. Addirittura, il Parco fissa per i residenti la possibilità di ospitare non più di quattro persone alla volta, un’evidente lesione delle libertà individuali sancite dalla nostra Costituzione.
I parchi sono un patrimonio della cittadinanza e devono essere resi usufruibili per la comunità. In tutte le nazioni civili che ho visitato i parchi sono tutelati, curati, ma anche usati. Questo a Pianosa non è possibile, perché si teme che gli speculatori potrebbero avere in qualche modo il sopravvento e contaminare tutta l’isola. Questo atteggiamento comporta un danno pesantissimo per tutta la comunità che non può godere del suo patrimonio naturale. Che cosa ci sarebbe di male se nel porto romano o in altre cale dell’isola venisse ammesso un numero contingentato di bagnati che potessero, seguendo norme e regole precise, avere il grande piacere di godere di questi posti?
Altro nodo irrisolto e opportunità mancata di Pianosa è rappresentato dal carcere e dalle attività della Cooperativa che offre servizi di ristorazione e pernotto ai turisti. Ho potuto visitare le varie strutture carcerarie dell’isola e ho incontrato l’esiguo numero di detenuti che ancora nell’isola. La struttura carceraria ancora funzionante a Pianosa è gestita molto bene, è pulita e ben organizzata perché i detenuti sono guidati da regole utili, precise e inderogabili di cui essi stessi sono riconoscenti.
Credo che coniugare il pieno utilizzo del carcere con la tutela dell’isola sarebbe il modo migliore per ridare di nuovo vita a questo paradiso. In questo senso, giacché, come ho potuto notare in occasione delle mie numerose visite alle carceri della Toscana, ciò di cui soffrono maggiormente i detenuti è la mancanza di un lavoro e l’impossibilità di costruirsi un percorso di reinserimento sociale e professionale, sarebbe doveroso riportare all’antica attività la colonia agricola, fatta dai carcerati, e sviluppare così anche il lavoro della cooperativa. Ripristinare la colonia agricola sarebbe il modo migliore non solo per restituire dignità ad alcune persone ma anche per insegnare un lavoro per reinserirsi nella comunità. Sull’isola ci sono cento ettari già dissodati ma rovinati dall’incuria. Se ci fossero cinquanta detenuti per occuparsi del piccolo allevamento e dell’agricoltura anche con scopi didattici per i turisti si potrebbe avviare di nuovo un ciclo virtuoso per valorizzare il patrimonio dell’isola e addirittura creare un modello d’integrazione tra carcere e territorio da esportare anche in altre comunità.
L’aumento della popolazione carceraria sull’isola (circa una cinquantina di detenuti in più) potrebbe enormemente contribuire al ripristino e alla tutela delle meraviglie dell’isola, delle strutture carcerarie fatiscenti che cadono in malora e sostenere l’attività del Parco, pulendo il sottobosco, curando la fauna e trasformando finalmente l’isola da diamante impolverato a un gioiello da preservare e mostrare con orgoglio.