Capelli: “Di Maio inutile propagandista su abolizione vincolo di mandato”

ROMA, 23/02/18 –  “Le idee bislacche del Vicepresidente della Camera riguardo l’abolizione del vincolo di mandato appaiono clamorosamente incostituzionali, stante – piaccia a lui ed altri o meno – la realtà di una Repubblica parlamentare quale è la nostra (in realtà la fantasiosa proposta di Di Maio non trova riscontri in nessuna democrazia, parlamentare o presidenziale che sia), ma questo non toglie che il tema della eccessiva mobilità dei parlamentari dopo le elezioni possa essere affrontato, con serietà, rigore, e senza attaccare la Costituzione”.

E’ quanto dichiara in una nota l’on. Roberto Capelli, deputato di Centro democratico e candidato con la lista + Europa con Emma Bonino.
“In realtà, basterebbe lavorare sui regolamenti parlamentari, le cui modifiche non richiedono maggioranze qualificate né referendum. Si potrebbe pensare che dopo un certo numero di mesi dalla costituzione della Camera, ad esempio sei, coloro che intendessero uscire da un Gruppo e costituirne un altro, non avrebbero diritto a nessun contributo da parte della Camera. Contributo che resterebbe in capo al Gruppo originario.

E in più sarebbe sancita l’impossibilità di far eleggere un deputato segretario di Presidenza, o altro componente dell’ufficio di Presidenza, per un gruppo di nuova costituzione dopo i sei mesi previsti.
Certamente, i deputati potrebbero usare i loro fondi per le spese del nuovo Gruppo, o componente, ma non potrebbero usare quanto previsto dall’articolo 15 comma 3 per la propria attività politica. Si tratterebbe di un primo disincentivo a quel “turismo parlamentare” di cui si parla, evitando al tempo stesso spropositi costituzionali come quelli di Di Maio, ma anche rischi come quelli previsti dalla riforma del Senato. Sarebbe lasciata del tutto intatta la libertà del parlamentare, nel caso di specie del Deputato, ma gli sarebbe resa più complessa l’uscita e meno conveniente la costituzione di un nuovo Gruppo”, conclude Capelli.

 

 

Ipotesi riforma regolamento Camera

Gruppi Parlamentari

 

In questi ultimi anni si registrano frequenti proposte, alcune molto estemporanee, per limitare quello che viene definito, con termini giornalistici non molto approfonditi, “turismo parlamentare”, o, peggio ancora “transumanza”. Si intende con ciò quel fenomeno, sempre presente ma ora molto accentuato, di spostamento di un parlamentare dal Gruppo nel quale originariamente era iscritto ad un altro, sia esso già esistente ad inizio legislatura, o anche costituito durante i cinque anni della legislatura stessa.

Buon, si fa per dire, ultimo, il “candidato Premier” (tra mille virgolette) del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio. L’attuale Vice Presidente della Camera, su internet ovviamente, ha proposto l’introduzione del vincolo di mandato per i parlamentari, ovviamente citando (a sproposito) lo “stipendio” che il parlamentare “transfuga” percepirebbe ingiustamente dopo aver lasciato il Gruppo di appartenenza. Il Vice Presidente della Camera (e non si sottolinea per caso questa carica!), ha aggiunto che chi lascia il Gruppo al quale ha aderito ad inizio legislatura, deve lasciare il Parlamento.

 

Per noi il parlamentare è un portavoce delle istanze degli italiani. Se il programma per cui è stato votato, non gli sta più bene, allora, prende e se ne va a casa senza stipendio”.

 

Così dice il Vice Presidente della Camera, ignorando allegramente qualche articolo della Costituzione. In particolare, giova ricordare l’articolo 67: “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Per buona misura è utile ricordare che l’articolo 66 stabilisce che “Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e incompatibilità”. Questo articolo, quindi, esclude ogni automatismo per una eventuale decadenza del Parlamentare, e la cosa appare ovvia dato che se questa decadenza fosse automatica come sogna Di Maio, significherebbe che un Gruppo, espellendo un singolo Parlamentare, lo potrebbe mandare a casa, superando quella volontà degli elettori che lo stesso Di Maio dice di voler difendere.

Le idee bislacche del Vice Presidente della Camera, quindi, appaiono clamorosamente incostituzionali, stante – piaccia a lui ed altri o meno – la realtà di una Repubblica parlamentare quale è la nostra (in realtà la fantasiosa proposta di Di Maio non trova riscontri in nessuna democrazia, parlamentare o presidenziale che sia), ma questo non toglie che il tema della eccessiva mobilità dei parlamentari dopo le elezioni possa essere affrontato, con serietà, rigore, e senza attaccare la Costituzione.

In realtà, basterebbe lavorare sui regolamenti parlamentari, le cui modifiche non richiedono maggioranze qualificate (anche se è preferibile giungere a votazioni a maggioranze ampie e trasversali), né referendum. Nel corso della legislatura che si sta chiudendo la Giunta per il Regolamento ha esaminato una proposta di riforma, che intendeva essere base anche per una modifica di quanto previsto per i Gruppi. Lo stesso lavoro è stato fatto in Senato, ed ha raggiunto un esito finale molto importante, ma forse, pur nell’assoluto rispetto per l’autonomia dell’altro ramo del Parlamento, eccessivo.

Il Senato, infatti, ha modificato il suo articolo 13, relativo alla cessazione dalle cariche del Consiglio di Presidenza (che alla Camera si chiama Ufficio di Presidenza). Al comma 1, che prevede che un senatore chiamato a far parte del governo decade dalla eventuale carica in Consiglio di Presidenza, aggiunge un comma 1-bis che prevede che “i Vice Presidenti e i Segretari che entrano a far parte di un Gruppo diverso da quello al quale appartenevano al momento dell’elezione cessano dall’incarico”. È, infatti, vero, che il senatore che viene eletto a quelle cariche viene indicato dal Gruppo, ma appare pericoloso vincolare la permanenza di un Vice Presidente, per esempio, al Gruppo originario. Se questo Vice Presidente divenisse sgradito al Gruppo per la sua conduzione “poco schierata” dell’Aula quando fosse di turno, il Gruppo stesso potrebbe espellerlo, per qualunque motivo (non viviamo sulla luna, queste cose possono accadere!), obbligandolo o a restare nel Misto o a lasciare la carica per poter entrare in un altro Gruppo. Lo stesso discorso vale per la modifica dell’articolo 27, relativo all’Ufficio di Presidenza delle Commissioni, che prevede la decadenza dall’incarico di quel componente l’Ufficio che cambi Gruppo (vale per lo stesso Presidente di Commissione? Non si tratterebbe di una decadenza di poco peso!). Siamo, dunque, di fronte ad una estremizzazione che potrebbe avere gravi contro indicazioni. Ma tra questo e il non toccare nulla ce ne corre.

Parliamo della Camera dei deputati. Per quel che riguarda i Gruppi parlamentari, il regolamento al Capo III ne fa riferimento agli articolo 14, 15, 15 bi e 15 ter. L’articolo 14 stabilisce che i Gruppi devono avere almeno 20 componenti, con varie eccezioni, e fa riferimento direttamente al Gruppo misto, unico espressamente nominato dal regolamento stesso. Tutti i deputati devono, entro due giorni dalla prima seduta dichiarare al Segretario Generale della Camera il Gruppo al quale intendono aderire. I deputati che non lo faranno, entreranno nel Gruppo Misto. Nello stesso Misto potranno essere costituite Componenti da parte di quei deputati che non fossero in grado di formare Gruppo, non arrivando a 20. Le Componenti hanno prerogative simili, ma in formato ridotto, rispetto ai Gruppi.

L’articolo che potrebbe essere interessato da una riforma, però, è il 15. Naturalmente spetterebbe alla Giunta per il Regolamento dare una forma concreta alla proposta, che però può essere già accennata qui. Il comma 3 attualmente in vigore recita:

 

“Per l’esplicazione delle loro funzioni ai Gruppi parlamentari è assicurata la disponibilità di locali e attrezzature (…), tenendo presente le esigenze di base comuni ad ogni Gruppo e la consistenza numerica dei Gruppi stessi. È altresì assicurato annualmente a ciascun Gruppo un contributo finanziario a carico del bilancio della Camera, unico e onnicomprensivo, a copertura di tutte le spese di cui al comma 4, incluse quelle per il personale (…). Il contributo è determinato avendo riguardo alla consistenza numerica di ciascun Gruppo (…)”.

 

Lo stesso vale per le componenti del Misto. In pratica, quindi, ogni Gruppo o componente riceve un contributo dalla Camera in base al numero di Deputati iscritti a quel Gruppo, o componente. Qualora uno o più deputati escano dal Gruppo, il contributo è decurtato in proporzione, e se un numero di deputati uscendo da un Gruppo ne costituisce un altro, questo ha diritto a parte del contributo che prima aveva il Gruppo originario. Per limitare gli spostamenti, allora, sarebbe pensabile non, come pure è stato proposto, vietare la costituzione di nuovi gruppi o componenti, ma limitare temporalmente quanto previsto dal citato comma 3 dell’articolo 15 del regolamento. Si potrebbe pensare che dopo un certo numero di mesi dalla costituzione della Camera, ad esempio sei, coloro che intendessero uscire da un Gruppo e costituirne un altro, non avrebbero diritto a nessun contributo da parte della Camera. Contributo che resterebbe in capo al Gruppo originario. Certamente, i deputati potrebbero usare i loro fondi per le spese del nuovo Gruppo, o componente, ma non potrebbero usare quanto previsto dall’articolo 15 comma 3 per la propria attività politica. Si tratterebbe di un primo disincentivo al quale se ne potrebbe aggiungere un secondo relativo all’ufficio di Presidenza della Camera.

In questo caso si fa riferimento a Capo II del regolamento, articolo 5, laddove si stabilisce che dopo eletto il Presidente della Camera, si procede all’elezione di 4 Vice Presidenti, 3 Questori e 8 Segretari di Presidenza, ai fini della costituzione dell’Ufficio di Presidenza della Camera. Il comma 3 prevede, poi, che siano presenti in Ufficio di Presidenza tutti i Gruppi Parlamentari esistenti all’atto della sua elezione, qualora non tutti i Gruppi fossero rappresentati, si procede alla elezione di tanti Segretari di Presidenza quanti necessari per coprire i posti rimasti vuoti. A noi, interessa, il successivo comma 5 dell’articolo 15

 

I Gruppi parlamentari costituiti dopo l’elezione dell’ufficio di Presidenza (…), qualora non siano già rappresentati in Ufficio di Presidenza stesso, e i Gruppi che, a seguito di modificazioni intervenute, vengano a trovarsi privi di un proprio rappresentate possono chiedere che si proceda all’elezione di altri Segretari”.

 

Anche in questo caso sarebbe possibili stabilire un limite temporale, sei mesi dalla costituzione della nuova Camera, per la richiesta da parte di nuovi Gruppi parlamentari di poter eleggere un Segretario di Presidenza. Resterebbe, naturalmente, salva la possibilità per il Gruppo originario, privato del suo rappresentate “fuoriuscito”, chiedere l’elezione di un nuovo segretario di Presidenza. Non sarebbe, invece, prevista la decadenza del componente l’ufficio di Presidenza che lasci il Gruppo con il quale è stato eletto. Lo stesso discorso varrebbe per gli Uffici di Presidenza delle Commissioni e per tutti gli organi della Camera.

Così facendo si disincentiverebbe quel “turismo parlamentare” di cui si parla, evitando al tempo stesso spropositi costituzionali come quelli di Di Maio, ma anche rischi come quelli previsti dalla riforma del Senato. Sarebbe lasciata del tutto intatta la libertà del parlamentare, nel caso di specie del Deputato, ma gli sarebbe resa più complessa l’uscita e meno conveniente la costituzione di un nuovo Gruppo. Come detto, toccherebbe alla Giunta per il Regolamento della Camera, procedere all’elaborazione concreta di queste idee, con una discussione ampia che porti alla maggior condivisione possibile da parte dei Gruppi parlamentari, siano di maggioranza o di opposizione, ma questa appare una idea plausibile, fattibile senza toccare la Costituzione, senza fare dei parlamentari dei “portavoce” (cosa che non sono!), senza dare un peso smodato ai partito o movimenti che siano (cosa che nemmeno i partiti organizzatissimi della c.d. “Prima Repubblica” avevano), affrontando un tema importante in modo non demagogico ma concreto, e con gli strumenti che già oggi sono a disposizione: la modifica del regolamento della Camera. Non si tratterebbe certo di un tecnicismo di poco conto, dato che, lo si ricorda ancora, i regolamenti parlamentari hanno rango costituzionale.